TORNANO LE NOSTRE “INTERVISTE POSSIBILI”
Oggi abbiamo il grandissimo piacere di ospitare Dušan Jelinčič, giornalista, scrittore e scalatore!
DOMANDA: Caro Dusan, inizio con una domanda che si può fare solo a uno scrittore: qual è la tua parola preferita?
RISPOSTA: Non credo di avere parole preferite, direi forse solo significative. Potrei menzionare la parola ‘orizzonti’. Sì, proprio questa….
D: Murakami è scrittore e maratoneta e in un suo libro ha paragonato il correre una maratona alla scrittura di un romanzo. Tu sei scrittore e scalatore... Credi che fra lo scrivere e lo scalare una montagna ci siano delle similitudini? Come vivi le due cose?
R: Murakami mi ha sempre appassionato e penso che la sua metafora sia azzeccata. Tra lo scalare e lo scrivere ci sono molte similitudini, tanto che quando scrivevo il libro “Dove va il vento, quando non soffia”, ho attaccato sopra il computer un foglio, su cui ho disegnato una montagna con i metri da scalare: da 5000 a 8000, dal campo base alla cima. E alla fine di ogni giornata ero un po’ più in alto… Devo dire che ha funzionato, anche se sono arrivato a… 10.000 metri, perché il romanzo era molto più lungo di quello che avevo previsto.
D: Se potessi portare in montagna con te un personaggio letterario chi sceglieresti? E in quale montagna lo porteresti?
R: Mi ricordo che nel 2005 avevo in programma di andare sull’Ottomila Lhotse con Nives Meroi, Romano Benet, con cui ero due anni prima sul Gasherbrum 2, ed Erri De Luca, ma purtroppo gli impegni di lavoro me lo hanno impedito. Oggi ci andrei con Pablo Neruda, Gabriel Garcìa Marquez o Ernest Hemingway. Beh, sarà una salita rimandata ad… altre dimensioni…
D: In "Perle sotto la neve" ipotizzi l'idea di un giallo ambientato sul K2 dal titolo "Omicidio sul K2", e poi infatti hai scritto "Assassinio sul K2". Quindi la domanda è: preferisci scrivere memorie o fiction?
R: Semplicemente mi piace scrivere quello che ho da dire. Scrivere le mie memorie delle spedizioni himalayane era una cosa naturale, ma naturale era anche scrivere le storie fantastiche di montagna e chiaramente inventate, anche se basate su fatti reali, accaduti sulle cime più alte del mondo. Guardare ogni giorno dal campo base sia l’Everest che il K2 ha acceso la mia fantasia e annotare lo schema di un futuro romanzo, che si sviluppa sulle loro pendici, era una cosa del tutto naturale.
D: L'Himalaya è luogo di grande fascino e di miti e leggende. La più popolare è di certo quella dell'esistenza dello Yeti o Uomo delle Nevi. Perfino Messner ha affermato di essersi imbattuto in una strana creatura... Tu cosa ne pensi? Se tu potessi incontrare fra le vette un personaggio immaginario chi sarebbe?
R: Premesso che stimo moltissimo il grande Messner e siccome al mondo esistono decine di migliaia di specie animale è normale che anche in alta quota si potrebbe incontrare qualche quadrupede o addirittura bipede con vaghe sembianze più o meno umane. Incontri immaginari invece ho già descritto nei miei romanzi, a cominciare da Mallory e Irvine che forse hanno raggiunto la cima dell’Everest nel 1924 e quindi ben prima di Hillary e Tenzing.
D: Qual è il tuo più grande sogno?
R: Beh, i sogni non li metto così in alto per poi non poterli raggiungere. Quindi sogno di vivere bene in salute con i miei cari almeno ancora alcuni decenni e di poter, nel frattempo, realizzare tutti i miei sogni terreni. Quelli semplici, quotidiani…
D: Nei tuoi libri citi e racconti di straordinari alpinisti che hanno raggiunto le vette più leggendarie e che talvolta nel tentativo hanno perso la vita. Se tu potessi passare una serata a cenare e a parlare con tre di loro (vivi o morti che siano) con chi ti piacerebbe passarla?
R: Una serata la vorrei passare con Walter Bonatti, anche se so che non era molto estroverso con chi non conosceva, l’altra con Reinhold Messner, che è, esattamente come Bonatti, una persona di estrema ricchezza interiore, ed infine la terza con Nejc Zaplotnik, grande alpinista sloveno morto sotto una valanga sulle pendici dell’Ottomila himalayano Manaslu e di cui ho tradotto in italiano il libro di memorie “La via”.
D: Esistono scrittori decisamente metodici e altri più istintivi. Tu di quali fai parte? Hai una tua routine di scrittura?
R: Siccome il mio mestiere è fare il giornalista – ora sono in pensione – non potevo essere metodico, perché fare questo mestiere significa non avere orari, e senza orari non puoi programmare la scrittura. Dovevo quindi essere istintivo e… veloce, il che mi è riuscito, per fortuna, abbastanza bene.
D: Nel tuo libro "I fantasmi di Trieste" racconti di luoghi e persone perdute o dimenticate... C'è un "fantasma" che ti è particolarmente caro fra quelli che ci hai raccontato?
R: I miei fantasmi mi piacciono tutti, senza distinzione, perché, morti da perdenti, la memoria collettiva li ha infine trasformati in vincenti. Io penso che la forza dei miei fantasmi è che sono un gruppo coeso ben radicato nel loro tempo e su questo territorio, e come tali sono diventati invincibili. Perché, tutto sommato, se isoli de Henriquez, oppure Joyce o Basaglia dal contesto triestino, perdono la loro incisività ed efficacia, così come se isoli il bagno ‘Pedocin’ o la chiesa degli Armeni dal contesto triestino, che è l’unico luogo, dove potrebbero esistere.
D: L’ultima domanda riguarda le biblioteche. Stephen King, ma anche i Peanuts e Calvin and Hobbes, hanno usato biblioteche e bibliotecarie nelle loro storie e spesso la bibliotecaria fa abbastanza paura: e tu hai avuto qualche “fobia da biblioteca”?
R: In vita mia ho letto tantissimi libri e veramente molti parlano di biblioteche, bibliotecarie misteriose, libri più o meno antichi e segreti terribili legati a loro. Beh, è anche logico, perché gli scrittori sono innamorati dei libri, dell’odore della carta stampata. Ciò nonostante, le biblioteche non mi suscitano particolari emozioni. Più le librerie, che però ultimamente evito, perché ogni volta che ci entro… mi alleggerisco di qualche decina di euro. E poi i libri ormai non so più dove metterli…