PER NON DIMENTICARE
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.
Bertold Brecht, Martin Niemöller, Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
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È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili.
Le conservo ancora, nonostante tutto, perché, continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.
Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione.
Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità.
Anne Frank, Diario 1942-1944
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Quanti giorni durò il viaggio? Per quante ore i miei genitori rimasero in piedi, schiacciati l’uno contro l’altro? Immagino mia madre che mi abbraccia stretta, come a proteggermi dal fetore, dalle grida, dal pianto, dalla paura, che ammorbano l’aria livida del vagone. Era chiaro, ormai, che dal quel viaggio non sarebbe tornato nessuno. Cerco di figurarmi in quale punto preciso del vagone si trovasse. Forse al centro. E mio padre, era lì, accanto a lei? Le avrà detto di essere forte? Che non c’era altro da fare? Quand’è che presero la decisione? Forse mia madre dovette faticare un po’ per raggiungere la lunga parte di legno del vagone. “Permesso! Scusate! Scusate!” Chissà se pronunciò il mio nome, mentre mi avvolgeva stretta nella coperta di lana. Se mi baciò, dicendomi quanto mi voleva bene, chissà se pianse. Se pregò.
Il treno rallentò, prima di entrare in una stazioncina di periferia. Mia madre, allora deve essersi affacciata alla finestra in alto, una specie di fessura da cui passava l’unico spiraglio di aria. Insieme a mio padre allargò le fitte maglie di filo spinato. Forse qualcuno li aiutò. Poi mi sollevò sopra la sua testa, nella grigia luce del giorno. Ciò che accadde dopo, è la sola cosa di cui sono certa.
Mi lanciò fuori dal treno.
Mi lanciò su un piccolo tappeto d’erba, vicino ad un passaggio a livello. C’era della gente, ferma davanti ai binari. Aspettavano di poter passare e videro me volar fuori dal vagone. Nel suo viaggio verso la morte, mai madre mi scaraventò verso la vita.
Ruth Vander Zee, La storia di Erika
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La vita nei campi di concentramento, è qualcosa di irreale, di mostruoso.
Contro natura.
A cominciare, soprattutto, dalla libertà, bene supremo dell’uomo, che ci viene tolta; dal senso di cupa oppressione che incombe su di noi, dall’incertezza del domani che ci assilla.
Si presentano in certi momenti della vita libera di ciascuno, nel travaglio quotidiano, situazioni tali che neanche osserviamo e alle quali non diamo importanza alcuna; più ancora: che ci sfuggono. Qui, invece, tutto viene moltiplicato, spasmodicamente, per il peggio.
Certo, questa vita ha pure i suoi lati buffi, ma dal fondo del riso che viene da una causa accidentale o da un fatto banale, affiora, costantemente, un’amara ironia, che ci porta, inevitabilmente, allo stesso interrogativo: fino a quando?
Antonio Deluisa, Di lager in lager
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Un rabbino riunì i suoi allievi e domandò loro:
“Come possiamo conoscere il momento preciso in cui finisce la notte e comincia il giorno? ”
“Quando, a una certa distanza, siamo in grado di distinguere una pecora da un cane, ” disse un ragazzino.
“In verità, si può affermare che è ormai giorno quando, a una certa distanza, siamo in grado di distinguere un olivo da un fico, ” replicò un altro allievo.
“Non sono soluzioni particolarmente convincenti. ”
“Qual'è la risposta giusta allora? ” domandarono tutti.
E il rabbino disse:
“Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, ponendo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno.”
Paulo Coelho, Il momento dell’aurora.
Da: Sono come il fiume che scorre.
Pensieri e riflessioni 1998-2005
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Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi, Se questo è un uomo